Indigo

Da Miniature Fantasy.
Versione del 17 lug 2017 alle 21:20 di Admin-fantasy (Discussione | contributi)

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Anima prescelta - Mana 11

Chr 0 - Tutti

Chr 1 - Protezione dal male - Ventata verticale - Vigore inferiore

Chr 2 - Ristorare inferiore - Tocco di Tyche

Chr 3 -

Joaqim si svegliò mezz'ora circa prima dell'alba e rimase accoccolato al suolo ancora qualche attimo per raccogliere le idee prima di uscire allo scoperto. Nello spazio ristretto in cui si trovava anche indossare il semplice corpetto di cuoio richiese più tempo del solito, ma era sempre stato un uomo prudente e non avrebbe abbandonato le buone abitudini proprio quel giorno. Una volta pronto si puntellò con le gambe contro la parete di roccia e tese i possenti muscoli delle braccia e della schiena per far rotolare il masso con cui aveva sigillato il suo rifugio improvvisato. Grugnì per lo sforzo ma la pietra cedette come aveva calcolato e uscì all'aperto respirando profondamente e assaporando l'aria frizzante del mattino. Un'ora circa e il sole del deserto avrebbe ucciso qualsiasi animale di piccola taglia si fosse trovato allo scoperto: doveva sbrigarsi. Frugò all'interno dello zaino tristemente leggero, tirò fuori l'ultimo pezzetto di carne secca di cavallo e iniziò a masticare lentamente: secondo i suoi calcoli doveva trovarsi circa a metà strada nel cammino fra la città di Domin e l'avamposto di Skorpio, da dove poi si sarebbe aggregato ad una carovana diretta a ovest e alla grande Muraglia Rossa... o questo perlomeno era il piano prima che il suo cavallo finisse azzoppato. Maledisse mentalmente la sua testardaggine, il suo orgoglio e il suo desiderio di libertà assoluta: in quel preciso momento avrebbe potuto trovarsi a Thule nell'alloggio del comandante della Guardia cittadina con molti uomini valorosi al suo comando, oppure a Marahan, la capitale Tartax, a regnare sul popolo del cielo. Ma aveva rifiutato senza indugio la carica e le conseguenti entrate che gli uomini dell'ovest gli avevano offerto come ricompensa per la parte che aveva avuto nella guerra contro il popolo a cui per metà apparteneva. I compagni che lo avevano affiancato in quella grande avventura avevano accolto il suo rifiuto con dispiacere sincero ma ben diversa era stata la reazione della gran parte dei maggiorenti della grande città occidentale: quando aveva rifiutato il gladio d'oro simbolo dell'ufficio offertogli aveva spiato di sottecchi i loro volti e, seppur ben celato, aveva colto il sollievo trattenuto nella maggioranza di loro. Dopo aver salutato i suoi amici aveva quindi sellato il suo nuovo cavallo ed era partito per l'oriente con i resti dello sconfitto esercito Tartax. Durante il lungo cammino aveva imparato ad apprezzare sempre più quegli uomini duri come le desolazioni assolate che chiamavano patria. All'inizio era stato guardato con diffidenza, poi avevano cominciato ad apprezzare le sue capacità marziali e prima ancora dell'arrivo alla Muraglia Rossa si sentiva quasi parte di quel popolo. Avevano raggiunto Marahan alla fine dell'autunno e dopo pochi giorni i capi delle varie tribù si erano incamminati per la montagna sacra, dove si sarebbe tenuto il rituale della scelta e incoronazione del nuovo Khan. Nonostante le sue domande, nessuno gli aveva spiegato come si sarebbe tenuta la cerimonia, prova tangibile del fatto che ancora non si era guadagnato la loro piena fiducia nonostante giacesse ormai da settimane con una giovane tartax, così aveva atteso con curiosità fino al giorno in cui il gruppo era ridisceso dalla Madre delle montagne. Dopo due settimane gli esploratori avevano annunciato l'arrivo del nuovo Khan, e Indigo non era rimasto più di tanto sorpreso nel vedere suo cugino Jorqi ergersi sul suo grande stallone nero roteando l'ascia istoriata di antiche rune d'oro, affinché tutti potessero vedere il simbolo del suo dominio sul Popolo. I festeggiamenti erano durati i nove giorni successivi ed erano state albe e tramonti in un delirio di ubriachezza, scontri e cavalcate: il nuovo Khan osservava tutto dall'alto del suo scranno ma sembrava non prestare particolare attenzione a nessuno, tanto meno a un cugino dal sangue bastardo. Ma non era così: all'alba del decimo giorno Joaqim, stanco di bagordi, aveva cavalcato nelle steppe per trovare un po' di pace e proprio in quella desolazione, quando al tramonto si era fermato dopo aver cacciato a lungo, suo cugino aveva scelto di incontrarlo. Davanti a un fuoco di bivacco e con il cielo stellato come testimone, lontano da tutti i cerimoniali, Jorqi aveva estratto dalla sacca del cavallo un otre di safid athesh, il forte liquore fatto con latte di cavalla fermentato, e dopo aver bevuto insieme gli aveva offerto la carica di Raeh Sha, colui che parla con la voce del Khan e secondo soltanto a lui in comando. Il sangue di Joaqim ribolliva al solo pensiero, non si era immaginato un onore del genere nemmeno nei suoi sogni di fanciullo quando nella caserma di Thule, dopo essere stato schernito per le sue origini dai compagni di addestramento, si ritirava nella sua brandina sognando di tornare in città alla testa di un esercito tartax. Ma ciononostante si era preso il suo tempo per riflettere bene e alla fine, quando ormai ubriaco stava per accettare, una voce aveva sussurrato nella sua mente che lui era libero come il vento, che aveva combattuto al caldo, nel gelo e perfino nei nove inferi e che nella sua vita non avrebbe piegato il ginocchio per essere secondo in comando a nessuno. Aveva salutato il cugino così, dopo un ultimo brindisi, guardandolo allontanarsi a cavallo sotto la luce della luna e sperando che la sua scelta non avrebbe causato conseguenze nefaste. All'alba si era dedicato ancora alla caccia, seguendo la pista di un branco di bisonti delle steppe. Era tornato all'accampamento solo dopo tre giorni, con le sacche delle selle cariche dei tagli migliori della preda che aveva abbattuto, e ad attenderlo c'era la notizia della nomina di Kukushan, un altro cugino di cui aveva imparato a diffidare durante il viaggio verso la capitale, come nuovo Raeh Sha del Khan. In ogni caso tutto era filato liscio finché un mattino al risveglio non aveva trovato nella sua tenda un messaggio vergato su pelle di cane in cui si parlava di un possibile tentativo di deporre il nuovo Khan per porre lui sul trono. Se avesse accettato avrebbe dovuto indossare una piuma di falco tinta di rosso che era allegata al messaggio. Aveva rifiutato senza indugio, ma dopo averci pensato bene non era andato a denunciare la cosa a suo cugino, non prima di aver indagato su chi si nascondesse dietro al complotto. La scelta si era rivelata sbagliata: il giorno successivo due guerrieri della guardia personale del Khan si erano presentati alla sua tenda per metterlo agli arresti con l'accusa di tradimento, mostrandogli la pelle di cane che credeva al sicuro nella cassapanca all'interno del suo alloggio. Era riuscito con difficoltà a metterli fuori combattimento ed era fuggito al galoppo sul suo pezzato, facendo ricorso a tutte le sue capacità per mettere più distanza possibile fra se e le catene. Stava fuggendo ormai da una settimana che gli era sembrata un secolo: si era nascosto in villaggi fatti di catapecchie di fango, aveva preso piste secondarie, ma i suoi inseguitori non avevano mollato. Era convinto di aver guadagnato almeno un giorno di vantaggio quando la sera precedente il suo cavallo, sfinito dallo sforzo prolungato, si era azzoppato sul ciglio di un grande canyon mandandolo a rotolare nella polvere. Non aveva avuto altra scelta che ucciderlo, macellarlo in gran fretta per procurarsi preziose provviste, lanciarlo nel dirupo e provocare una frana in modo da far dubitare ai suoi cacciatori che fosse finito nel baratro con la sua cavalcatura. Poi, col sole al tramonto, aveva iniziato a discendere la parete cercando ogni appiglio, giungendo in fondo a metà notte con la luce della luna. Finalmente, stremato nel corpo e nello spirito, aveva cercato un riparo in un anfratto tirandosi dietro una pietra per ripararsi da eventuali attacchi di predatori e confidando che i suoi inseguitori pensassero che fosse morto nella caduta. Sapeva che non avrebbero mai abbandonato i loro cavalli e che avrebbero fatto un lungo giro per scendere e controllare: questo gli avrebbe concesso almeno un giorno supplementare di vantaggio. Le prime avvisaglie dell'alba lo riscossero dai suoi pensieri: bevve un sorso di preziosissima acqua dalla borraccia quasi vuota e si incamminò di buon passo verso occidente, verso Skorpio, confidando nella buona sorte.