Ashet
-BG del Personaggio-
Cap. 1 - 13 Mirtul, 1365
Quando la giovane sacerdotessa Talindra trovò il bambino, davanti alla porta del tempio, non si meravigliò più di tanto. Era abitudine che chiunque non potesse, o non volesse, prendersi cura di un bambino, lo lasciasse alle cure degli adepti del Dio Piangente. Lo prese con sé, e lo portò là dove tenevano tutti i nuovi abbandonati. “Vaprak, ti chiamerò”, perpetrando così quell’usanza di dare i nomi di divinità malvagie ai nuovi arrivi. La giovane mezzelfa non poteva sapere le origini del fanciullo: i genitori erano due mercanti provenienti da Waterdeep. Non avevano tempo, e voglia, di crescere un “piccolo mostro” (come lo chiamavano loro). Quando il tempo della donna era giunto al termine, si trovavano a Sundabar, con una spedizione che avrebbe portato loro grandi ricchezze. Fu così immediata la loro decisione: lasciare quel figlio non voluto nelle mani degli Dei.
Cap. 2 1370
Il piccolo Vaprak era un bambino estremamente vivace. Correva in qua e in là, e già a 5 anni si rendeva conto che la vita dei chierici di Illmater non era ASSOLUTAMENTE adatta a lui. Le sorelle erano buone, per carità… Ma così severe! E che rotture di palle, con tutte quelle storie sul dolore, sulla sofferenza… No, lui era fatto per VIVERE! Coi pochi amici che aveva, sognava di vivere avventure straordinarie. Sognava di essere un grande guerriero, con spada e scudo. Ma sapeva, in cuor suo, che la sua scarsa forza non lo avrebbe certo facilitato. Non era neanche il più bello, né il più simpatico. A cinque anni, i bambini sanno essere stronzi come non mai. Ma una dote ce l’aveva: era rapido. Di mano, e di occhio. Sapeva fare cose che pochi bimbi sapevano fare, ed era molto capace nei trucchetti e nella piccola giocoleria.
Capitolo 3 4 Uktar, 1373
Era riuscito a fuggire! Già da diversi mesi, la vita monastica gli pesava più di qualunque altra cosa. Non ne poteva più degli insegnamenti, e quelle velate allusioni al fatto che lui potesse un giorno diventare un chierico di Illmater… Brrr, non riusciva neanche a pensarci. Aveva pianificato la fuga attentamente, nei mesi precedenti, e finalmente in quella fredda notte era riuscito a raggiungere il suo scopo. Solo dopo che si fu trovato da solo, al buio, per le strade di Sundabar, si pose la fatidica domanda: “E ora, dove vado?” Troppo orgoglioso per piangere, o per tornare sui propri passi, vagò tutta la notte. Si spinse dal cancello Est, fino alla Sala della Giustizia Eterna. E fu lì davanti che, in un angolo buio, conobbe Weshtek. Weshtek era un gigantesco mezzorco. Era alto molto di più di un umano, e due piccole zanne spuntavano fuori dalla sua tozza mandibola. Puzzava, più di qualunque altra persona Vaprak avesse mai sentito, ed era cattivo. Estremamente cattivo. Ma questo il nostro ragazzo l’avrebbe scoperto solo qualche tempo dopo. “Come ti chiami” chiese, con voce falsamente mielosa, la creatura. Lui ci pensò un po’, chiedendosi se avrebbe dovuto rivelargli il suo vero nome. “Mi chiamo Ashet” rispose, così quasi per caso, e si accorse che il suono di quel nome gli piaceva in maniera particolare. Ashet. Da oggi quello sarebbe stato il suo nome. In fondo del resto, non gli era mai piaciuto essere associato ad un malvagio dio dei Troll. “Bene, piccolo Ashet, cosa fa un bimbetto della tua età, a quest’ora, fuori casa? Ti sei perso? Dove sono i tuoi genitori?” chiese Weshtek. “Ehi, io non sono un bimbetto! Ho già compiuto otto anni, sai? E poi non ho mai avuto i genitori. Vivevo al tempio di Illmater, ma sono fuggito.” Rispose, piccato, Ashet. Gli occhi del mezzorco si illuminarono. “Hai bisogno di un posto dove stare, piccolo mio. Vieni con me, ti presenterò alla mia famiglia. Lì potrai mangiare e dormire e, se ti riveli abile, potremmo anche diventare amici!”
Cap. 4 Festa di GRANRACCOLTO, 1377
“Oggi è un GRAN giorno! Oggi è la festa di Granraccolto, e tutti i sundabariani saranno in giro per le strade a festeggiare. Mi aspetto forti guadagni oggi, INTESI?” La voce del mezzorco vibrava, all’interno di quella catapecchia dove vivevano. Stava parlando ai tre ragazzi in piedi davanti a lui, e lo sguardo che gli regalò non lasciava presupporre niente di buono, in caso l’avessero deluso. Ashet era davanti, ovviamente. Era il più abile di tutti, ed in quei quattro anni aveva sviluppato le sue doti innate. Aveva preso anche un sacco di botte, ovviamente. Ma questo l’aveva indurito. Era diventato capace di nascondere la compassione che provava, verso i più deboli. Anche perché raramente incontrava qualcuno più debole di lui. Era un abilissimo borseggiatore, e aveva imparato a sue dirette spese a guardarsi sempre intorno, ed a rimanere sempre con gli occhi aperti. Dietro ad Ashet c’erano i gemelli, Darvin e Miri. Erano pochi mesi che si erano uniti a loro, ed erano gli ultimi rimasti. A parte Ashet, ovviamente. Erano due mezzelfi, terrorizzati e ancora molto goffi. Ad Ashet era andato l’incarico di istruirli sulle regole della casa. “Chi non porta soldi, non mangia”. E poi venivano le botte. Ashet però aveva preso a cuore i due bambini, e cercava di aiutarli ad imparare meglio, e il più in fretta, possibile. Tutti gli altri che negli anni si erano avvicendati nella “Casa Accogliente” (così la chiamava ironicamente Weshtek), erano andati via, o semplicemente scomparsi. “Oggi andrete là fuori e darete tutti del vostro meglio. Mi aspetto almeno IL DOPPIO della quota giornaliera, chiaro? Ashet, tu non deludermi. Ma non lo fai mai.” E Weshtek gratificò il giovane con una strizzata d’occhio. Mancò poco che Ashet vomitasse. Uscirono, tutti e tre. E bene o male rientrarono con la quota pattuita. Ma non Miri. E così non mangiò, quella sera, e venne picchiato. Selvaggiamente, brutalmente, da Weshtek. Si era ubriacato, e quella volta fu anche più duro del solito. Per fortuna della piccola Miri, si addormentò, proprio mentre si stava calando i pantaloni, per portare la tortura della mezzelfa a ben altri livelli. “Sssh, stai tranquilla” sussurrò Ashtek a Miri “Ora ci sono io, e mi occuperò di te” diceva, mentre gli curava le ferite. Darvin dormiva, nel suo letto, stanco e affamato. Avevano diviso con lei i resti delle loro misere cene, e così nessuno era a stomaco vuoto. E mentre asciugava il sangue e le lacrime della ragazzina, prese la decisione: Dovevano andarsene. E dovevano eliminare l’orco.
Cap. 5 30 Tarsakh, 1380
Ce l’avevano fatta! Incredibilmente, il piano aveva di nuovo funzionato. Ashet e Miri erano riusciti a scappare! La lotta con Weshtek era stata violenta e brutale, ma alla fine i due erano riusciti ad avere la meglio. Ma la gioia per la fuga era adombrata dal dolore della perdita dell’amico e fratello Darvin, ucciso per mano dell’orco oramai morente. Erano riusciti a raggiungere una somma molto elevata quel giorno, e avevano deciso di compiere il piano quella notte stessa. Avevano comprato del vino, e l’avevano drogato. Erano anche riusciti a fare in modo che il mezzorco lo trovasse addosso a loro, senza porsi il dubbio che facesse tutto parte di un piano. Ma erano stati furbi, erano mesi che facevano finta di litigare e battibeccare. Non poteva pensare, lo stolto, che i ragazzi fossero in combutta, né poteva immaginarsi che fosse sbocciato l’amore, tra Ashet e Miri. Il loro aguzzino aveva trangugiato il liquido, e si era seduto sulla sua poltrona. E aveva chiuso gli occhi. Ma era qui che tutto aveva cominciato ad andare a rotoli: convinti che la creatura fosse addormentata, si erano avvicinati per bloccarlo e sgozzarlo. Ma il liquido non aveva avuto l’effetto sperato e, anche se intontito, l’orco era sveglio. Aveva capito i loro intenti, e aveva estratto il suo stocco. Ma i tre ragazzi erano stati veloci, ed avevano estratto a loro volta i loro pugnali. Si era così accesa una disputa sanguinosa, e l’orco alla fine aveva avuto la peggio. Ma morendo, era riuscito ad infilare la punta della sua lama nel petto di Darvin, proprio mentre lui si stava girando, ebbro di gioia, verso gli altri due. Avevano raccolto le ricchezze dell’orco, e se le erano spartite. Miri era molto ferita, e la decisione di Ashet fu immediata: ritornare alle sue origini, il tempio di Illmater! Faticosamente raggiunsero il piccolo tempio del Dio Piangente. Ashet bussò, e venne ad aprire Talindra. Riconobbe immediatamente il giovane, che aveva raccolto e cresciuto oramai 15 anni prima. “Vaprak!” Esclamo, stupita la sacerdotessa. “Non mi chiamo più così. Ora mi chiamo Ashet” rispose lui. “Mi potete aiutare con la mia amica? Siamo rimasti invischiati in un … Beh, insomma, ci aiutate o no?” La mezz’elfa non fece altre domande. Li fece entrare, li fece sedere su una panca e invocò su di loro le benedizioni di Illmater. In breve le loro ferite sparirono, e il dolore cessò. Miri si addormentò quasi all’istante. “Grazie per avermi aiutato. Dopo tutto questo tempo, e dopo tutto quello che…” si fermò dal parlare, Ashet, e grosse lacrime caddero dai suoi occhi. “sssh, tranquillo. E’ tutto a posto” sussurrò rassicurante Talindra. “Qualunque cosa sia successa, ora siete al sicuro. Vi aiuteremo noi” continuò. E sorrise. Passò la notte. I due giovani dormirono sereni, dopo tanto tempo. Il mattino dopo Ashet si svegliò molto presto. Preparò le sue cose, e si preparò a partire. In cuor suo, non era affatto pronto per salutare la sua amata Miri. Ma si rendeva conto che lì sarebbe stata meglio, e al sicuro. Ed era convinto che quella fosse la sua strada, che la sua dolcezza e pazienza potessero trasformarsi presto in una vocazione. Ma quando arrivò al portone, trovò Talindra che lo aspettava. “Te ne vai?” gli chiese, sapendo già la risposta. “Sì” fu la risposta laconica di Ashet. Un groppo in gola gli impediva di andare oltre. “Non ti tratterrò. Non ho mai avuto intenzione di farlo, lo sai. “ Sorrideva ora, Talindra “Ma mi raccomando: anche se non sono tua madre, ed entrambi lo sappiamo… Beh, ti voglio bene. Abbi cura di te” E lo abbracciò. Ashet ricambiò l’abbraccio “Anche io ve ne voglio, Talindra.” Si staccò e riprese “Potreste adire a Miri che le voglio molto bene? Non credo che capirà subito il perché me ne sono andato. Mi raccomando: è una ragazza molto fragile, ma anche molto forte. Credo che possa essere un buon acquisto per il Vostro tempio”. “lo credo anche io” gli rispose costei “la aiuteremo e la sosterremo, in ogni sua scelta. Ora và, e stai attento!” Si scambiarono un ultimo abbraccio. E poi Ashet varcò la soglia, ed uscì. Guardò per un attimo il cielo, poi tra sé e sé pensò “ho sentito che ad Est di qui c’è un paese che si chiama Deadsnows. Hanno scoperto grandi filoni di oro e pietre preziose in quel posto… Credo proprio che comincerò da lì” e, sistemandosi lo zaino sulle spalle, partì.